Perchè la variante Delta è dominante, lo studio

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La variante Delta è quasi sei volte meno sensibile agli anticorpi sviluppati da chi ha avuto il Covid-19 e otto volte meno vulnerabile a quelli sviluppati dopo la vaccinazione. E’ inoltre più infettiva e si moltiplica con più facilità.

E’ questo mix di abilità che le ha consentito di diventare dominante in pochi mesi. Lo rivela uno studio internazionale pubblicato su Nature coordinato dall’università di Cambridge. Emersa a fine 2020 in India, la variante B.1.617.2 (Delta, secondo la nomenclatura dell’Organizzazione mondiale della sanità) ha cominciato a diffondersi nella scorsa primavera.

Oggi è responsabile di circa il 90 per cento dei nuovi casi di Covid-19 nel mondo e oltre il 99 per cento di quelli diagnosticati in Europa. Nel dettaglio, dalla ricerca è emerso che la variante Delta è 5,7 volte meno sensibile all’attacco degli anticorpi neutralizzanti sviluppati da chi ha già contratto l’infezione durante la prima ondata rispetto alla versione originale del virus isolata a Wuhan.

E’ risultata invece otto volte meno sensibile agli anticorpi prodotti dopo l’immunizzazione con il vaccino AstraZeneca o con quello Pfizer. Ciò spiega, secondo i ricercatori, molti casi di reinfezione: da un’analisi di oltre 100 operatori sanitari infettati in tre ospedali di Delhi, quasi tutti vaccinati, lo studio ha riscontrato che nella maggior parte dei casi l’agente infettivo era proprio la variante Delta. Infine, esperimenti di laboratorio hanno mostrato che la variante B.1.617.2 è più efficiente a infettare le cellule rispetto ad altre versioni del virus grazie a una maggiore capacità della proteina Spike di agganciarsi alla cellula e aprire la strada all’ingresso del virus; una volta dentro la cellula, poi, la variante sembra anche in grado di replicarsi meglio. Questi dati, “giustificano strategie per potenziare le risposte vaccinali contro le varianti; è necessario inoltre continuare a prestare attenzione al controllo delle infezioni anche nell’era post-vaccinale”, concludono i ricercatori. (ANSA). 

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