sabato, 5 Ottobre 2024

Il rischio ritardi per l’entrata in vigore del Bilancio Ue e per gli stanziamenti dal Recovery fund si fa sempre più palpabile, e il veto di Polonia e Ungheria sul pacchetto di rilancio economico ora “preoccupa” anche il commissario all’Economia, Paolo Gentiloni.

La presidenza di turno tedesca intanto cerca un asso da giocarsi alla videoconferenza dei 27 leader di giovedì puntando su un ventaglio di opzioni, con la cancelliera Merkel, sostenuta dai leader europei, Charles Michel e Ursula von der Leyen, in pressing pesante, per scongiurare i rallentamenti di NextGeneration EU ed un esercizio provvisorio del budget, possibilità molto concreta, se non sarà trovato un compromesso a breve. In particolare, si lavora per scardinare l’alleanza a due, facendo leva soprattutto sul più malleabile polacco Mateusz Morawiecki, quello che in questa partita ha certamente moltissimo da perdere, visto che il suo Paese è il primo beneficiario dei fondi di coesione (ben 70 i miliardi ottenuti per il 2014-2020).

L’estrema minaccia potrebbe essere un’esclusione dalla ripartizione delle risorse, difficile da realizzare, ma non impossibile. Un piano B di cui Gentiloni per il momento non vuol sentire neanche parlare, “fiducioso che i veti saranno superati” con più miti convincimenti. Ma Budapest e Varsavia, per bocca dei ministri Judith Varga e Konrad Konrad Szymanski, alla riunione Affari generali Ue, non hanno arretrato di un passo. La clausola sullo stato di diritto “è un meccanismo per sanzionare un Paese su base ideologica e noi siamo il primo obiettivo”, per questo “non possiamo dare il nostro sostegno”, ha insistito Varga. “Non ci siamo ancora. Il problema è la mancanza di certezza giuridica. Abbiamo bisogno di un compromesso migliore”, ha rilanciato Szymanski. Voci isolate in un coro di richiami ad agire con “responsabilità”.

Appelli arrivati da tutti i 25 partner, compresi gli alleati di Visegrad. Di “senso di frustrazione” ha parlato il ministro Enzo Amendola, che ha sollecitato ad agire “velocemente” per compiere “l’ultimo miglio”, perchè altrimenti “oltre alla ripresa e alla resilienza dovremo occuparci anche di soccorso alle nostre società ed economie”. Se fallissimo ha avvertito il commissario Ue al Bilancio, Johannes Hahn, “ci sarebbe un impatto devastante sui cittadini, sulle economie, e anche sui mercati finanziari”, che allo strumento SURE hanno reagito molto bene proprio per le “grandi aspettative” riposte nel pacchetto di stimoli da oltre 1800 miliardi in arrivo. (Tra l’altro proprio in queste ore l’Italia è stata destinataria di altri 6,5 miliardi di prestiti Ue per finanziare la Cig, dopo i 10 ricevuti ad ottobre).

“La presidenza di turno tedesca si sforzerà di arrivare ad una buona soluzione, lavoreremo 24 ore al giorno, sette giorni a settimana”, ha promesso il ministro tedesco Michael Roth, sottolineando però: “Non è il Consiglio solo a decidere. Serve l’intesa col Parlamento europeo”. E l’Eurocamera ha già parlato. Lo ha fatto più volte in queste settimane, e soprattutto lo ha dimostrato nei fatti, esigendo una clausola rigorosa a protezione delle risorse dell’Ue. A ricordarlo è stato Manfred Weber, capogruppo del Ppe, la principale famiglia dell’Eurocamera di cui fa parte Fidesz, il partito di Viktor Orban, sospeso dal marzo 2019 proprio per le decisioni controverse del governo magiaro. “Come Parlamento europeo – ha detto – non daremo il consenso se non include un meccanismo vincolante per lo stato di diritto”.

Un concetto ribadito anche dall’olandese Mark Rutte davanti al suo Parlamento, che come altre 20 assemblee europee dovrà ratificare il pacchetto, prima che il Recovery diventi realtà. In mezzo al bailamme, il ministro degli Esteri Luigi Di Maio ha messo le mani avanti: “finalmente si è chiuso il capitolo Mes. Anche il presidente dell’Europarlamento ha dichiarato che l’istituto va riformato”. Ma anche questo, come rileva il capogruppo del Pd al senato, Andrea Marcucci, è ancora tutto da vedere.

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